Leoni e leoncini

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E’ una vita che mi occupo di biciclette e di ciclismo (e di pochissime altre cose), ma fino a ieri Antoine Demoitié non sapevo nemmeno chi fosse. Se volessi fare il giornalista serio ora andrei a ripercorrere la sua carriera, a cercarne i numeri su cqranking o procyclingstats, a tradurre qualche pagina dei siti sportivi belgi per ricostruirne la storia. ma qui non mi interessa, perchè tanto antoine demoitie resterà soltanto un altro, l’ennesimo numero di una strage che non accenna a diminuire la sua richiesta di sangue.

Antoine Demoitié è morto in gara, durante una corsa splendida come la Gent-Wevelgem, nobilitata dall’attacco di Sep Vanmarcke, dalla solare resistenza di vyacheslav Kuznetsov, dall’aggressiva rivalità tra fabian cancellara e peter sagan, uno che a furia di scornarsi coi rivali sta diventando il motore stesso delle classiche, e finalmente è premiato. Di mezzo a tutto ciò è morto Antoine Demoitié. Ed è morto perchè è stato ucciso anche lui, come troppi altri colleghi prima. ammazzato da una motocicletta in strada, come aveva rischiato di capitare a stig broeckx alla kuurne-bruxelles-kuurne, e a tanti altri -da fuglsang a van avermaet, da sergent allo stesso sagan- negli ultimi mesi. come capita ogni giorno, d’altronde, in corsa e ancora di più fuori: è quanto è successo sabato a quattro ciclisti sull’Aurelia a Roma, e quasi ci è finita mezza squadra della Giant in ritiro a Calpe qualche settimana fa. C’è una macabra democrazia nei ciclisti morti e feriti sulle strade, un destino che può toccare chiunque. Il fatto che questa volta accada in gara non sposta di un millimetro la questione, anzi la rende ancora più assurda, perchè se il dramma tracima anche laddove i ciclisti dovrebbero essere protagonisti e tutelati, allora tanto vale chiudere tutto e restarcene a casa, sul divano, per sempre.

di fronte a quest’ennesima morte, quello che si legge è tanto dolore. comprensibile e umanissimo, forse troppo. Ma in mezzo a tanto dolore non si legge mezza reazione invece. quel gruppo pronto alla levata di scudi per due (millantati) fiocchi di neve, non sembra avere alcuna intenzione di contrastare pericoli ben più reali e letali. L’avevo scritto dopo la pantomima della Tirreno, lo ripeto oggi pari pari.
I ciclisti che vengono falciati per strada, andando al lavoro o a divertirsi, alzano la voce e ci provano a combattere, è ora che lo facciano con ancora più forza i loro più titolati colleghi, che rischiano ancora di più e muoiono uguale, allo stesso modo.

che la terra sia lieve per Antoine Demoitiè -si dice sempre così- ma che sia durissima per chi continua ad accettare supinamente la propria caduta.

5 pensieri su “Leoni e leoncini

  1. Vige sempre il criterio per cui per la sicurezza dei corridori si possono annullare tappe e dimezzare salite al primo accenno di neve ma non si può togliere un solo mezzo da una carovana chilometrica e pericolosissima

  2. Almeno per i bambini si progettino circuiti chiusi di 3/4 km. Altrimenti la paura, più che giustificata, dei genitori, li allontanera’ da uno sport comunque pericoloso!

    • C’è un territorio perfetto per i bambini, e sono i velodromi.
      Ma qui il problema non è quello di creare situazioni protette, ma di rendere più sicure quelle standard. Perché dal circuito protetto prima o poi si deve uscire, ed è necessario sapersi muovere al di fuori.

  3. Provate a leggervi i tweet di quinziato, moser e contador, tanto per cominciare.
    Per non parlare di tutto il casino fatto l’anno scorso da Tinkoff, quando voleva ritirare la squadra dopo l’incidente di Sagan travolto dalla moto.
    Il problema è che le moto sono legate per la maggior parte legate a sponsor e televisioni, e quindi ai soldi. Non cambierà mai nulla

    • dei tweet di dissenso ci sono sempre. alla tirreno ci sono stati nibali e pinot, alla scorsa vuelta tinkov e contador, ma francamente non basta.
      non basta che siano sempre e solo i diretti interessati. soprattutto non bastano più i tweet.

      diciamolo chiaramente: se ammazzano un mio collega io non ci vado più a lavorare finchè non è garantito che non succederà più. e non mi frega nulla che sia il mio compagno di stanza o il mio peggior rivale, perchè in strada siamo tutti uguali. e non mi frega nulla che sia il giro delle fiandre o la coppa di roccacannuccia, perchè anche in questo caso siamo tutti uguali.

      tutto questo dai corridori, tanto compatti ad evitare la neve che non c’è, ancora lo sto aspettando. da anni.
      che sia la volta buona.
      (anche la volta buona per dimostrare che i sindacati e le associazioni dei corridori hanno davvero senso di esistere, cosa che fino ad oggi non è pervenuta)

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