[M.H.]

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all’inizio della scorsa estate ho ricevuto una telefonata che non aspettavo e ho scoperto un mondo che non mi aspettavo. nel giro di due settimane, mi sono ritrovato a impacchettare quattro magliette e cinque paia di mutande, fare un passaporto d’urgenza e volare ai piedi dell’unico punto che conoscevo bene di tutto ciò: il Muur di geraardsbergen. da lì è cominciato l’inseguimento a una lunga traversata d’Europa in bicicletta, nota come Transcontinental Race. una pedalata che si snodava tra incontri più che tra luoghi, anche per chi come noi non pedalava.

il primo incontro è stato con questo tipo strano, che sembrava uscito da un romanzo fantasy e parlava un inglese ai limiti del comprensibile. un tipo che ho scoperto con lo scorrere dei chilometri, come tutta questa storia fatta di birra e ciclismo. ci ho scambiato troppe poche parole con Mike Hall, quando sapevo che avrebbe avuto parecchio da raccontarmi. l’ho incontrato qua e là lungo la strada, l’ho ritrovato al traguardo in turchia, a Çanakkale, con un sacchetto di lattine di Efes da consegnare a chi arrivava alla fine della corsa. l’ho rivisto a milano lo scorso novembre, quando ci trovammo insieme sullo stesso palco a presentare la prossima Transcontinental, l’ultima che ha disegnato, la prima che non vedrà con i suoi occhi.

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