all’attacco, in che senso

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Gli abbiamo chiesto perchè ieri si è svegliato alle cinque, prima della tappa, senza riuscire più ad addormentarsi. Ha detto che più che emozionato era felice, che fa il ciclista per questo, per correre sulle montagne della leggenda come lo Stelvio, per partecipare a corse storiche come il Giro numero cento, che avrebbe voluto anche andare in fuga sullo Stelvio ma la gamba non c’era, così ci ha riprovato oggi.
Poi qualcuno gli ha chiesto perchè non fa più classifica, se è davvero il capitano della squadra o che, e lui ha detto che è contento del suo ruolo, che è quello che avrebbe sempre voluto avere.
Gli abbiamo chiesto allora perchè non ci sono altri ciclisti che corrono come lui, attaccando tutti i giorni, e in principio non voleva rispondere. Chiedetelo agli altri, abbozzava, io parlo per me. Però per se’ ha continuato a parlare, perchè dice che il ciclismo oggi è cambiato, tutti pensano sempre a risparmiare energie, finchè a furia di aspettare ti accorgi che la corsa è finita. Mentre secondo lui è meglio dare sempre tutto, alla peggio il giorno dopo arrivi ultimo, ma che ne sai, magari invece arrivi decimo. Dice che quando faceva il Tour per la classifica si sentiva morto nei tre mesi successivi, perchè non puoi permetterti nemmeno di bucare, e devi stare tutto il tempo a guardare quello che fanno gli altri, mentre lui a stare lì, in mezzo al gruppo, proprio non ci si trova, non è capace di aspettare, preferisce attaccare. Dice che il ciclismo già è parecchio faticoso di suo, se poi ci si toglie anche il gusto del piacere, di fare quello che più si ama, allora non ha più senso farlo.

Poi lo abbiamo applaudito un po’ tutti, si è alzato e se ne è andato. Così tranquillo non te lo immagini nemmeno, così felice invece sì. Perchè è un senso, uno scopo, che da’ la felicità, e gente come Pierrot Rolland riempie di senso queste giornate anche per tutti noi.

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