La tradizione dei mesi freddi è la stessa dei mesi caldi: stare sul divano (o a bordo strada, o in velodromo) con una birra in mano a godere di alcuni personaggi che vanno in bicicletta. Per aiutare il fluire dell’inverno ho tirato un lunghissimo filo su twitter, aperto il 14 settembre 2019 e chiuso oggi. Gli ultimi tweet sono una sintesi, un ricordo, un orgasmo differito, della magnifica stagione che fu. Stanno tutti lì; ma come omaggio postumo a Larry Tesler, inventore del copia/incolla recentemente scomparso, stanno pure qui sotto.
Prima dell’inizio della Coppa del Mondo (e in cima a questo lunghissimo filo) avevo fatto una domanda. Ero convinto di sapere la risposta, ovvero che sarebbe stata un’annata incerta, con protagonisti discontinui, in cui ci saremmo divertiti meno del solito. Mi sbagliavo. In chiusura di questo filo, ecco perché.
Perché la 2019/2020 è stata una grandiosa stagione di ciclocross (e già mi manca).
Perché Mathieu van der Poel è stato tutt’altro che a mezzo servizio. Si è preso le sue pause, ha staccato da un mese, ma di fatto c’è stato, e tanto. Ha vinto, e tanto. Guardare pedalare e dominare Van der Poel in certi pomeriggi è un’esperienza mistica per la perfezione con cui riesce a prevenire e dominare ogni intoppo. L’ho già scritto: è stata la stagione che ha sancito definitivamente che il ruolo di Mathieu è tra i grandissimi di questo sport. E che noi abbiamo un gran culo a potercelo godere. Che Satana ce lo conservi a lungo, e lo conservi nel fango.
Perché non è stato solo. Con Wout van Aert in contumacia (che si è fatto bastare mezza gambetta per gridare ugualmente la sua presenza) si sono visti finalmente rivali di livello. Ci è voluto un po’, ma quando gente come Laurens Sweeck e Toon Aerts ha deciso di puntare tutto sulla tenacia, sulla resistenza anziché sulla resilienza, lo spettacolo di ogni corsa si è innalzato di parecchio. Prova ne è il finale di stagione, queste bellissime ultime settimane senza i due dioscuri.
Ma soprattutto è stata una grande stagione grazie ad Eli Iserbyt. Un predestinato che si concretizza, un verbo che si fa carne, tanto che ci si scorda quasi che abbia solo 22 anni. L’Iserbyt di quest’anno è uno di quei corridori che rapiscono il cuore, per il modo in cui riesce sempre a sorprendere (anche a crollare), per la gigantesca riserva di speranza a cui riesce ad attingere quando vince e pure quando arriva secondo dietro al gigante che gli tocca sfidare. Questo inverno segna un passaggio nella storia di Iserbyt, ha fatto clic nella sua testa, e ha scoperto di poter vincere (quasi) tutto.
Il terzo ed ultimo superlativo è in campo femminile, dove l’annus mirabilis è cosa abituale. Viviamo in un’epoca d’oro, e ogni stagione è un’avventura caleidoscopica. Ma quest’anno ha un elemento in più: Ceylin del Carmen Alvarado è tutto il bello che si possa immaginare nel ciclismo. E’ l’incarnazione del talento puro, è la tenacia dinnanzi alla malasorte, è la spinta al continuo miglioramento, è il sorriso di chi si ricorda che tutto sommato è ancora un gioco. Lo stesso sorriso di chi guarda.
La grandezza di Ceylin si riflette nello splendore delle sue rivali. I campioni sono tali quando si sfidano e se le danno sempre, è incredibile come questa tendenza altrove sia così fuori moda. E con Ceylin questa stagione ci ha dato una Kastelijn indemoniata in autunno, una Worst inflessibile in inverno, una Brand che quando si accende scoppia subito la polveriera… e poi il ritorno della divina Betsema e il futuro a lungo termine, chiamato van Anrooj.
Andrebbe sottolineato quindi con quattro pennarelli rossi quanto fatto da Alice Maria Arzuffi. Vero è che ha sofferto di un po’ di discontinuità, di qualche malanno, di un calo di energie nei mesi finali, ma quando ha trovato la giornata Alice ha corso al livello di questi fenomeni, riuscendo persino a mettersele alle spalle. E’ l’unica ad avercela fatta in una corsa delle challenge principali (USA esclusi). Non è affatto un particolare da poco.
Chi è mancata è Sanne Cant, e qui bisognerebbe aprire la pagina dei bocciati, andare a parlare per esempio di Joris Niewenhuis e Lars van der Haar, ma perché rovinare un’annata così goduriosa guardando ai bocciati? Ricordiamoci solo il bello, gare come l’HotondCross di Ronse (TOP), Koksijde, Namur, Dübendorf… Teniamoci negli occhi quelle, ora che ci attenda quel lungo inverno chiamato estate.
Fine della stagione e fine del filo. Sabato ricomincia la stagione su strada, non sarà la stessa cosa ma fortunatamente sarà un’altra cosa. E poi basta essere pazienti: mancano solo 224 giorni all’inizio della Coppa del Mondo. Sono già emozionato. Nell’attesa birra e musica.